CRITICA 1900-1950
Il meglio dei giovani nati o fioriti nel Veneto sono passati per Cà Pesaro; si può dire tutti quanti. E le fanno onore. Chi visiterà anche questa seconda rassegna, breve ma salubre, ne uscirà persuaso e consolato. La pittura veneziana ebbe sempre, anche nei suoi alti e bassi, una sua fisionomia domestica e leale, una piana accessibilità, una sensualità tutta sua, negata (per grazia di Dio e di questa aria benedetta così pittorica e lirica che i pittori ci fanno il loro mestiere che quasi non se n’accorgano) a ogni soperchieria dei cervelli; tanto che perfino ai tempi - nientemeno -di Tiziano, l’astrattismo manierista e forestiero del Vasari ci trovò da ridire. Anche ai primi dell’ottocento, quando il neoclassicismo napoleonico, forsennatamente statuario e come tale velenosamente antipittorico, mortificò tutt’il resto d’Italia, a Venezia (basterebbe ricordare certi ritratti di Grigoletti o le “modelle” di Politi, del museo di Udine) si seguitò domesticamente e pienamente a dipingere. Domestici e pieni, più sentiti che ragionati, senza sfoggi di patemi e sfarzi di eccentricità, sono anche questi quadri di ieri e oggi esposti qui in queste sale. Ma, insomma, dipinti sono; anche se ai tempi che corrono non dovessero parere alla moda. E così via. Perché le mode passano, ma nella pittura ch’è pittura qualcosa c’è che rimane.

Nino Barbantini (Presentazione alla “Seconda Mostra dei Pittori Espositori di Cà Pesaro” - 1925).

L'arte di Eugenio Da Venezia è luce, viva, libera, troppo libera per il nostro stesso gradimento. L’Impressionismo ed il Fauvismo provano allo stesso tempo questo ed estrae un atmosfera che diventa più di un insegnamento. Eugenio Da Venezia utilizza dei colori chiari e freschi, che lo portano a ritrovare il sole.

Gaston Poulain (In occasione della mostra personale a Parigi - Comoedia)

Ero alla Biennale di Venezia, nel giugno 1934; all’interno della sezione francese davanti alla sontuosa iridescenza di Pierre Bonnard, vidi l'entusiasmo di alcuni ospiti piacevoli e giovani; uno di loro era Eugenio Da Venezia, che mi manifestò il desiderio di mostrarmi le sue opere, nel padiglione centrale e mi consentì poi di entrare nel suo studio di lavoro, dove le fresche tele rivaleggiavano di luce con le finestre, aperte sul riflesso dei canali …
A Venezia, quello che era, all’inizio del secolo, la dottrina ufficiale, i veri artisti non potevano restare insensibili ai giusti incanti delle atmosfere, né alla modesta purezza delle facce fatte divine, che Bellini ha pettinato; anche la giovane generazione italiana ed Eugenio Da Venezia in particolare, hanno trovato se stessi, senza cercare molti supporti ed amicizie. Nel 1932, la giuria poteva scegliere fra tutti, i dipinti di questo pittore per il concorso destinato ad esaltare le opere del regime fascista; questo tessuto era tuttavia non “intellettuale”, grazie a Dio; era un paesaggio molto calmo, dove la costruzione del ponte di Littorio ha permesso di opporre la terra gialla, recentemente portata, con i verdi ed i blu del mare e del cielo; la verità è che certe commissioni si sono sedute sul lavoro italico, il geniale collezionista, l’eccellente capo, al quale la morte non scappa.
Già nel 1931, il soprintendente Focolari aveva comprato, per le collezioni reali, sicuramente lo studio di donna bionda, firmato da questo veneziano, che l'acutezza del suo disegno e la purezza della sua tecnica gli hanno reso possibile distinguersi; effettivamente, Eugenio Da Venezia, che non ha per legge, che sono istinto e sue scoperte s’immagina ancora, come tutto l’artista sincero, per non avere prodotto nulla che può soddisfarlo completamente; il non sottoporre al passo verso un timore quanto sincero quanto inutile le sue opere agli sguardi parigini da cui conosce le esigenze, ma di cui possiede senza conoscenze, la fine qualità.

Duc de Trèvise (Sauvegarde de l’art francais) (Dalla presentazione all’esposizione tenuta a Parigi alla Galleria “Carmine” nel Marzo 1935)

Eugenio Da Venezia trascrive con la certezza i paesaggi latini.
La personale arte non ha nulla di ufficiale ed il merito di questo giovane artista è soltanto dal suo proprio sviluppo. Attraverso i maestri francesi moderni, che non ha conosciuto, ha fatto, come una prescienza, la sua rivoluzione pittorica.

G.I. Gros (Mostra a Parigi “Paris-Midi”, Aprile 1935)

Davanti alle sue opere ci si sente disarmati da tutti i preconcetti ed accetto Da Venezia come si deve accettare un purosangue che fa della propria attività pittorica la sua sola ragione di vita. Vediamo piuttosto quello che ci vuole dire e mettiamoci volentieri alla ricerca della sua personalità, se pure questa produzione è sufficientemente spiegativa. Qui, non troviamo elucubrazioni cerebrali (troppo alla moda per essere sincere) - qui non troviamo vocaboli pretenziosi (caratteristica principale di chi non può creare) - troviamo invece: un soffio poetico, caldo e amoroso - una vasta visione cromatica della natura - un bisogno istintivo di dipingere e… basta.
Dico “basta” perché è sufficiente per essere immediatamente catalogato fra i vari temperamenti degni di consacrare all’Arte la loro esistenza. Aristocratica e delicata, questa pittura si sposa, per certe affinità, all’eroica scuola (tutta spirituale e visiva) che è stata l’impressionismo francese ormai entrata, a giusto titolo, nella storia dell’Arte…
Per il momento egli sa restare quello che è: poeta della luce e del colore, espressioni sincere della sua arte e del suo amore per la vita. Il “Canal Grande” è un’opera dove certamente l’artista ci dà la vera misura del suo talento e della sua personalità.

Sepo (Severo Pozzati) in occasione della mostra personale a Parigi “La Nuova Italia”, 11 aprile 1935

Questo pittore veneziano, che della sua città porta il ricordo nel nome, è perdutamente innamorata di questa sua Venezia bella, e infatti, che egli dipinga paesaggi o natura morta, che egli inquadri soggetti di figura o di marina, è l’anima della sua città gentile che egli sempre traduce in opera d’arte: è il fascismo di Venezia dei secoli scorsi, l’incanto festoso e fastoso dei suoi marmi, la poesia della sua laguna, la quiete dei suoi canali, la sincera gaiezza della sua popolazione multicolore e multiforme. Dal suo primo apparire a Cà Pesaro nel 1925 è una continua ascesa, è un continuo migliorare sé stesso, benché la sua emozione interna sia ancora alla sua primitiva espressione, perché fin da allora è stata espressione d’arte. Eugenio Da Venezia è un colorista eccellente, e appunto in questo senso si è svolto il suo graduale perfezionamento. Nelle sue opere giovanili la fusione perfetta dei colori, la sinfonia gradevole dei toni è ottenuta con pocge sfumature, magari di uno stesso colore. La sua tavolozza è andata man mano arricchendosi, tanto che egli, con magistrale fusione di colori fra i più dissonanti e contrastanti tra di loro, ci trasfonde quell’emotiva forza che è nella sua arte vigorosa di giovinezza e di vita.

Gino Guerra (“Il Gazzettino”, Venezia 1937)

Pittura, quella di Eugenio Da Venezia, fatta essenzialmente di luce e colore: puro, di colore intriso di luce, raggiunta con la più schietta semplicità di mezzi, per accostamenti di raffinata sensibilità, per vividi, rapidi tocchi cromatici, più che ottenuta con impasti sostanziosi, elaborati di accordi e di velature; per criteri e per tendenze, potremo dunque dire, per intenderci, di origine impressionistica; senza però esser legata ad alcuna formula di scuola o di alcun preconcetto di maniera …
Vedute nostalgiche di laguna ed aspetti ampi e luminosi di campagna; morbide delicatezze di nudi e fantasie suggestive di colori; estasianti, inebrianti iridescenze di luci; e ritratti di fiori! I fiori: la vita di questo mondo muto, ma pur così ricco, così mutevole e vario di toni, di voci, costituisce per lui, oggi, uno dei temi più attraenti, più cari; gioiosi scoppi di rossi e di gialli, raffinati accordi di rosa, di viola, di azzurri pallidi; sbiancata sensualità sfatta di rose spampanate nella vibrante verzura diei campi; mesti sussurri di poche zinnie avvizzite e di silenziosi fioretti di campo …
Ed ecco, in contrasto, le nostalgiche, morbide, delicate visioni lagunari, così intimamente veneziane, delle albe e dei crepuscoli, lungo le placide silenziose rive del Brenta!
E se nei nudi e nei ritratti, che qui figurano, nel torso morbido, iridescente di giovane donna vista di schiena, o nel suggestivo penetrante ritratto di signore in piedi, pur nella ricerca della forma, resa con lievità e semplicità estrema di mezzi, è sempre la luce l’elemento prevalente, l’elemento principe della pittura di Eugenio Da Venezia, quell’ampio respiro luminoso, che, come fu detto, è e rimarrà sempre la sua più alta ed essenziale qualità.

Giulio Lorenzetti (prefazione al catalogo della mostra personale tenuta a Venezia, novembre 1938)

“Eugenio Da Venezia, nato all’alba del secolo, porta nel suo sangue le stimmate di una tradizione d’artisti. E poiché questa tradizione è squisitamente veneziana, egli è essenzialmente un pittore di luce.
La strada ch’egli ha scelto non gli è stata indicata dagli zelatori delle cosiddette “correnti d’avanguardia”, i quali attendono, nel campo dell’arte, al lancio delle nuove mode. Egli si è cercato da sé, seguendo il suo proprio istinto, il proprio campo di ricerca e il proprio gusto e se vogliamo la propria maniera. Dominato dalla preoccupazione di trovare nuove risonanze dui colori nella gloria della luce, Eugenio Da Venezia affronta coraggiosamente i problemi della luce, che son poi, da almeno due secoli, i problemi fondamentali dell’espressione pittorica ….
Eugenio da Venezia eccelle nel dar vita, con un canto gioioso di colori, alla festosa e sontuosa grazia dei fiori e nel rappresentare, con amorosa delicatezza non disgiunta da singolare potenza evocativa, i paesaggi lagunari della sua Venezia.
Temperamento essenzialmente lirico, egli sa animare con un soffio di intima poesia le solitudini dell’Estuario, le distese degli orti di Burano o di Torcello sotto il trascolorare dei tramonti autunnali, mantenendosi sempre su una linea di aristocratica sobrietà e di assoluta, francescana semplicità, che scaturiscono da una coscienziosa, sicura, costante aderenza al proprio istinto di pittore nato”.

Elio Zorzi (dalla prefazione al catalogo della mostra di Milano, 1941)

… Eugenio Da Venezia con un bel gruppo di opere fra le quali spicca il ritratto vigorosamente impostato della signorina Possenti, si afferma artista coraggioso e forte e una delle migliori speranze della giovane pittura veneziana.

Nino Barbantini (in occasione della XIX mostra dell’Opera Bevilacqua La Masa, “Gazzettino” di Venezia, 1941)

Quel che è subito da notare nella sua personale, alla Galleria dell’Annunziata, in via Fatebenefratelli, è la conquista d’uno stile personale raggiunto. Da Venezia è anzitutto un tipico pittore veneziano. Le ispirate leggiadrie di segnoi e di stile, l’innata eleganza che domina ogni suo modo di essere, concetto e forma, scendono con un accento aristocratico dal Settecento veneziano e si scorgono da lunghi. Eleganze filtrate attraverso conoscenze di artisti moderni, ma poi rifuse in un delicato scernere e sentire, che ci par già personale. Su codesta linea di finezza sono da collocare tutti i quadri di fiori, distillati attraverso un limpido cristallo stilistico. Anche i paesaggi scendono dal gran ceppo veneziano per quella calma e un poco scialba luce di perla con la quale soltanto i veneziani sanno rendere il fascino immoto, assorto, delle isole lagunari, immerse in magia di silenzio, lento e grandioso, di cui agli estranei non riesce di varcare la soglia.
Da Venezia domina bene la figura femminile, anzi le istilla grazia che diviene più imperiosaquando nei dipinti s’accendono luci d’una sensualità a sua volta risolata sul piano di raffinati rapporti di segno e tono. Certi nudi compongono un assieme elevato per lìaccordo raggiunto tra gli elementi umani e quelli decorativi, come stoffe e ricami che l’artista tratta con grazia superiore.
La conquista più importante dell’artista si vede nella vasta tela “Risveglio”, dominata da una acuta rinnovazione della tecnica e del predominio del fattore luce.
Qui la pittura di Da Venezia, tesoreggiando le precedenti esperienze di grazia e forza, sfocia in una composizione di splendido costrutto e di aperta sensibilità in cui gli elementi diversi si sbloccano con tanta decisione da far pensare alla conquista d’una pietra miliare dell’artista, ormai in possesso d’un suo mondo stilistico che s’adegua con pienezza alle visioni del mondo interiore.

Dario Bonardi (in occasione della mostra personale alla Galleria dell’Annunziata, Milano, “La Sera”, 1941)

Da Venezia è venuto alla pittura attraverso ad una salda e concreta preparazione con l’aiuto di una perfetta conoscenza di valori spirituali ed artistici. Non è un pittore improvvisato, non è un puro istintivo, senza che dicendo questo, noi si voglia essere creduti più propensi a stimare più l’artista “colto” che quello spontaneo” Noi siamo convinti che le sue diti naturali sono la parte più importante - si potrebbe abcge dire essenziale - della personalità dell’artista, se non subentra l’appoggio di una esauriente conoscenza culturale è facile assistere al disperdersi di questa innata individualità soffocata da cento elementi che possono facilmente aver presa sull’uomo non preparato, sostituirsi agli stessi suoi istinti primordiali, soffocarli, disperderli, senza che magari l’artista stesso si accorga di ciò.
Vogliamo - come abbiamo già fatto capire - illustrare, sia pure per sommi capi, l’opera di un artista nostro, di questo Eugenio Da Venezia che, dopo aver dato continue prove della sua abilità, della sua ispirazione, delle sue personalità, si presenterà quest’anno agli amici della Biennale con una sala personale. Sono già conosciuti, dagli intenditori d’arte, i motivi principali e le simpatie coloristiche di Da Venezia. Motivi che sin raggruppano nei fiori, nelle vedute lagunari e di montagna, in qualche nudo femminile: simpatie che giocano sopra vibrazioni di tinte opalescenti e timide, sopra contrasti dolci eppur decisi, su accostamenti di toni per niente contrasti ma invece accostantisi uno all’altro ed amalgamatisi in finezze uniche ed affascinanti.

Vettorel Querel (“Il Globo”, Milano, 1948)

Ho incontrato Eugenio Da Venezia a Parigi nel 1935. Esponeva alla “Galleria Carmine” in Rue de Seine una quarantina di opere, paesaggi in gran parte, che si fecero notare per l’acutezza della ricerca atmosferica sostenuta da una bravura coloristica che trovava nell’interpretazione dei vari volti della laguna e nell’amorosa adesione alla pienezza della forma umana il suo pzzo dei miracoli. Dal 1935 ad oggi Da Venezia ha ancora camminato e basterebbe un quadro di vasto impegno grafico e cromatico come “Alla Festa”, esposto all’ultima Biennale Di Venezia, a testimoniare la ricchezza dei risultati stilistici raggiunti da un’arte che ha distillato tutte le conquiste dell’impressionismo rivivendole attraverso il ricordo della più ricca tradizione veneziana.
La mostra che ora Da Venezia ha aperto alla galleria Grossetti, conferma la maturità espressiva dell’amico nostro, la sua franca presa di possesso del mondo che egli è caro e permette già di trarre qualche conclusione su una pittura che trova il suo posto ideale tra Sisley e De Pisis, tra Monet e Mose Levy, essendo l’impressionismo di codesti maestri il punto d’arrivo di una sensibilità moderna che ha fatto dell’interpretazione luminosa della realtà una trasfigurazione e quasi un’apoteosi di essa … Sono circa 40 opere, che trattano di preferenza ritratti, nudi, fiori, nature morte e paesaggi. Tuttavia una veduta di Torcello orchestrata su una sinfonia di grigi che interpretano con una solennità non priva di grandezza la malinconia dell’estuario di Venezia mostra anche su questo terreno la zampata del maestro. Il quale si mostra in tutta la sua bravura nei ritratti e nei nudi. Una bravura che non tradisce mai la compiacenza e non gioca mai sulla sensibilità come su una matrice feconda d’inganni. Essa si fonda su un rigoroso ordine ritmico e cromatico che serva ad illuminare la forma dal di dentro, non già a violentarla dall’esterno. Sotto questo aspetto mi paiono significativi i nudi; e quella tela che Da Venezia intitola “Trasparenze” per quei seni di donna che hanno un valore di rivelazione plastica, attraverso l’abbraccio quanto mai carezzevole del velo, è un pezzo che non si dimentica.

Leonida Rapaci (dal volume “Galleria”, ed. Meschina, Milano 1948)

Occorre precisare, tuttavia, che Eugenio Da Venezia non è l’artista inquieto e tormentato, in cerca di clamorosi successi attraverso “originali” esibizioni polemiche; bensì il pittore, che la chiara coscienza dei propri ideali, l’equilibrata coltura e, anzitutto il sincero amore per l’arte, hanno dotato di un temperamento schivo e sereno. L’odierna personale (circa trentina di olii) con cui il Da Venezia si presenta alla cittadinanza trentina, documenta adeguatamente i valori e i significati della sua arte. Sono fiori e paesaggi, entro iridate atmosfere, ove luce e colore s’avvicendano, secondo un movimento spesso guidato e sorretto da squisita emozione lirica, sempre giustificato da una fine sensibilità.
Il linguaggio s’intesse di luminose delicate gamme, si svolge per rarefatte stesure valorizzanti le chiare imprimiture e guidate da allusivi rabescanti riferimenti grafici; e si risolve in artistiche sinfonie tonali, trascoloranti in mutevoli precarie effervescenze luministiche. Sia che l’artista s’ispiri alle albe o ai tramonti, che in magici amplessi di acque e di cieli, Venezia celebra nel suo estuario; sia che egli contempli il sempre nuovo spettacolo dei fiori rivelati dalla luce; sia che ritragga fragili sembianze infantili o armoniosi volti femminili: sempre tradisce un contemplativo, rasserenante atteggiamento davanti alle varie manifestazioni di vita: atteggiamento che è il più genuino impulso ad esprimere, quanto dire a fare dell’arte vera.

Giulio De Carli (In occasione della mostra personale, Trento, “Il Popolo Trentino”, Ottobre 1949).

Espone in questi giorni alla galleria d’arte Trento il pittore veneziano Eugenio Da Venezia, del “Cenacolo della Valigia”. La sua pittura è impostata su una tavolozza chiara, i suoi paesaggi sono ricerche d’atmosfera, ottenute con una pennellata sciolta, fusa, delicata. Quella tenue, dolce poesia delle isole, in cui i motivi paesaggistici sono quasi inesistenti e tocca al pittore ricrearli in una successione tonale appena accennata, trovano in Da Venezia un saporito interprete. Le sue nature morte sono ravviate a volte da sprazzi luminosi che vivificano l quadro, mentre altre sono giocate su grigi e gialli smorzati. Anche la figura è mantenuta su una gamma leggera, realizzata per velature, che la rende pastosa ed amalgamata.

Mario Ulivi (in occasione della mostra personale a Trento, “Alto Adige”, Trento, 1949)

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